martedì 11 giugno 2013

L'ultimo fuoco

La pioggia non cessava di cadere, da giorni ormai... I due uomini chiusi nella grande sala che dava sul parco erano allo stremo delle forze. Si avvicendavano davanti all'ampio camino in mattoni che dominava la stanza, cercando di mantenere vivo il fuoco. Non fare spegnere le fiamme era importante, era la cosa più importante che avessero mai fatto. Gettavano un pezzo di legno dopo l'altro, e la pila di ciocchi stagionati e rami freschi che avevano preparato circa 36 ore prima stava rapidamente esaurendosi. Quando si fossero trovati senza più combustibile, avrebbero gettato nel camino le sedie, i tavoli, e persino la preziosissima libreria in mogano nella quale Mr. Peabody conservava i suoi trattati occulti. Un tuono esplose nel cielo scuro come la notte, ed il lampo azzurrognolo che si sprigionò nel cielo filtrò dalle grandi finestre a vetrate, stampando ombre distorte contro le pareti. "Buon Dio..." sussurrò gravemente Mr. Peabody gettando un'occhiata torva verso le finestre. L'aroma amaro ed insistente della sua pipa aleggiava nella stanza, vincendo anche gli odori del fumo e della legna bruciata che si sprigionavano abbondantemente dal camino. "La legna è quasi finita" gemette con un filo di voce il dottor Willett, senza distogliere lo sguardo dal chiarore delle lingue di fuoco che danzavano nel focolare. "Arriveremo al massimo a questa notte, mai a domattina." concluse infine disperato.
Un silenzio di rassegnazione si stabilì nella stanza. Nelle loro menti, i due uomini ripercorrevano inesorabilmente le tappe che li avevano condotti alla situazione attuale, le folli profanazioni al cimitero di Marjorie Hill, il trasporto dei corpi nella grande villa di Mr. Peabody, il rito, quel rito oscuro e maledetto che loro e altri due compagni avevano celebrato col favore della luna piena, appena un giorno e mezzo prima.
Poi c'era stato il risveglio, il risveglio di qualcosa, di un'entità da luoghi sconosciuti e remoti, da sfere lontane che niente hanno a che vedere con le vicende umane, e l'abisso nel quale erano sprofondati. Il Signor Willis e Mr. Roxburgh erano caduti vittime del male empio che avevano richiamato sulla terra, e poi si erano levati dalla morte, orrendamente transmutati in grette e vili caricature delle persone che erano state in vita, ed avevano reclamato le anime degli unici due che erano scampati al trapasso. Mr. Peabody ed il dottor Willett avevano trovato riparo nel grande salone patronale al pian terreno, ed avevano barricato l'unica entrata, l'ampio portone in legno di quercia, ed erano riusciti a resistere la prima notte, sotto i colpi feroci dei loro orrendi braccatori. I lamenti disumani dei due esseri tornati dalla morte avevano echeggiato nella tenuta per tutta la notte, poi al sorgere del sole erano cessati. Vittime del terrore folle, Mr. Peabody ed il dottor Willett avevano proseguito a tenere vivo il fuoco, avendo intuito che esso, o la luce che produceva, aiutava a tenere lontano gli spiriti erranti che li cercavano. Ma la notte era nuovamente vicina, ed il fuoco sarebbe durato ancora per poco. L'idea di fuggire dalle finestre era folle. Avevano ben udito la notte precedente i mostruosi richiami di qualcosa che si muoveva nella bruma, richiami che sembravano articolati dal vento incalzante, da ombre che si muovevano su grandi ali membranose, e che falciavano il cielo scandagliato dalla pioggia.
Erano in trappola, vittime di quel male indescrivibile che avevano richiamato sulla terra per capriccio, per soddisfare quel brivido e quel bisogno di mistero che li aveva spinti a lanciarsi in quella folle e sciocca avventura. Ecco, il sole doveva essere calato. Dai bui e freddi corridoi della tenuta si levavano di nuovo quegli abominevoli suoni, quelle litanie generate da tessuti putrefatti e corrotti, da carne marcia ed empia, quei canti diabolici che si avvicinavano sempre di più, come una condanna a morte. Mr. Peabody ed il dottor Willett si strinsero vicino al camino. Il dottore afferrò l'ultimo pezzo di legna rimasto, e lo gettò nel fuoco che iniziava ad indebolirsi, a trasformarsi in brace e poi in cenere.
"Siamo alla fine", sussurrò più a se stesso che al suo compagno di sventura, e bevve un lento sorso da una fiaschetta d'argento che stringeva in mano come se fosse la chiave per la loro salvezza.
"Siamo alla fine" gli fece eco Mr. Peabody, ed insieme osservarono l'ultimo brano di legno che veniva debolmente oscurato da una debole lingua di fuoco. Fuori, un fulmine esplose nel cielo sconquassato dalla pioggia, echeggiando sulla tenuta come un oscuro rintocco funebre.

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